Il caffè delle diaspore

Il caffè delle diaspore

giovedì 18 luglio 2019

Dejan e Fatmir

Questa storia è, in teoria, inventata, ma in realtà è tutta vera poichè è presa da esperienze vissute


Dejan è nell’angolo del bar con due enormi panini e una birra. E’ in Italia per lavoro e conosce bene l’italiano nonostante sia serbo e sia venuto in Italia solo per lavoro. Con lui è seduto il suo inseparabile amico albanese Fatmir.
Improvvisamente il bar si anima, c’è un certo caos dovuto all’ingresso di 5 albanesi ubriachi che chiedono dei toast e del vino. Il barista da loro cio’ che hanno chiesto nella speranza che se ne vadano presto. Loro consumano il tutto tra urla e canzonette albanesi. Dejan è angosciato e pensa ai suoi amici serbi che vivono nelle enclavi kosovare, veri lager a cielo aperto.
E’ arrivata l’ora di pagare e i 5 albanesi si controllano nei portafogli e nelle tasche, ma non hanno nemmeno la metà dei soldi necessari. Il barista si arrabbia e minaccia di chiamare la polizia. Dejan non ci pensa un secondo e paga il conto. A quel punto uno dei 5 albanesi lo riconosce e gli dice: “Io ti conosco, tu eri in Kosovo e hai salvato la mia famiglia dai reparti speciali e ora mi hai salvato ancora!”
Per Dejan è una scossa elettrica e ricorda degli episodi della guerra che puntualmente lo rincorrono notte e giorno.
Improvvisamente la sua mente è a Belgrado, nella caserma centrale, quella più esposta alle bombe NATO.
E’ la primavera del 1999 e Dejan è caporale. Dorme seduto e beve nelle pozzanghere d’acqua piovana. Per 78 giorni e 78 notti ha la stessa divisa e come unico scopo quello di salvarsi la vita.
Un giorno il suo superiore lo chiama e gli dice : “Prendi 4 dei tuoi uomini e vai a presidiare il ponte”. Per Dejan è un sollievo allontanarsi dalla caserma che è obiettivo militare. Il ponte è sempre pieno di persone e gli aerei NATO volano radenti per spaventare la gente, ma non sparano e non sganciano bombe.
Dejan prende la camionetta e 4 dei suoi compagni più cari, perché vuole portare anche loro lontano dalla caserma. La camionetta parte e arriva al cancello. A quel punto il piantone dice a Dejan che deve nominare un capitano e tornare in caserma che c’è un altro lavoro per lui. Dejan quasi scoppia a piangere, non vuole rimanere in caserma. Ma il piantone gli urla di obbedire e Dejan parla col suo amico Marko e gli dice di assumere il comando e di andare al ponte.
La camionetta parte e Dejan la vede uscire dal cancello, si volta e torna a piedi in caserma. Dopo pochi passi si sente un boato e Dejan viene sbattuto a terra a 4 metri da dove si trovava. Subito pensa a una bomba, gli esce sangue da un orecchio, guarda il cancello e inizia a piangere. La bomba ha preso in pieno la camionetta e i suoi amici sono a pezzi.
Quella stessa sera sarà costretto a raccogliere i suoi amici e a metterli in sacchi neri dell’immondizia.
Intanto anche la mente di Fatmir va al passato. Fatmir studia all’Accademia militare e lavora in polizia in Albania. Gli stipendi sono molto bassi e un giorno riesce ad avere un visto turistico per venire in Italia.Il giorno dopo il suo arrivo Fatmir già lavora in una azienda agricola come contadino.Scaduti i 15 giorni di permesso, Fatmir non sa che fare.Tornare al suo paese e continuare a lavorare in polizia o diventare illegale e quindi “criminale”?Fatmir decide di rimanere in Italia.Fa tanti lavori in nero e malpagati. Rimpiange il suo posto di poliziotto a Scutari, ma ormai è tardi per tornare.Così fa quello che fanno tutte le persone disperate: si compra una falsa identità.Ironia della sorte il passaporto falso era di un serbo e da quel momento Fatmir non è più Fatmir, ma Milan.Con una falsa identità Milan trova lavoro facilmente e per 5 anni lavora in una pizzeria al taglio.Lavora talmente tanto che inizia a mettere su una pizzeria per conto suo, poi una seconda e poi una terza. Tutte attività che vanno a gonfie vele! Nel giro di 5 anni apre 10 pizzerie, poi un ristorante e poi un bar sulla piazza principale di Udine.Tutte le attività vanno alla grande, ma Milan tratta i suoi 100 dipendenti come collaboratori e non come era stato trattato lui. Nessuno lavora in nero, sono tutti regolari.Ad un certo punto Milan rivuole la sua identità. In una sanatoria si presenta in questura come Fatmir.Al processo Fatmir chiede al giudice: – Ma è possibile condannare una persona che si è autodenunciata? La giudice gli dice di avvicinarsi e gli sussurra: – Non ti immagini nemmeno quanto mi dispiaccia condannarti.Fatmir è dinuovo Fatmir, condannato dalla giustizia italiana, ma re di un grosso impero: “Mondo pizza” che in Friuli è una piccola Mc.Donald.I giornali friulani riportano tutto a caratteri cubitali: “Il re della pizza arriva dall’Albania!” (il Messaggero) e “Stacanovista da record” (il Friuli).La notizia rimbalza anche sui giornali albanesi.Fatmir riceve attestati di benemerenza dal comune di Udine, dalla provincia di Udine e dalla Regione Friuli Venezia Giulia.Ora è li, nel bar con i suoi connazionali che non possono pagare e il suo migliore amico serbo che li vuole aiutare e pensa che la vita è una storia meravigliosa

sabato 13 luglio 2019

Ana e Boro


Una sera d'estate del 1999, appena finiti i bombardamenti sulla piccola Jugoslavia, passai una sera con Ana, moglie di Boro, cari e fraterni amici; due giovani con la vita davanti che avrebbe dovuto essere vissuta.
Ana era disperata, Boro il suo amato compagno di vita, era uno dei 1300 serbi rapiti nel Kosovo Metohija dai terroristi dell'UCK, ancora non era tornato e non c'erano notizie sulla sua sorte.
Ana per tutta la sera pianse, pianse disperatamente e mi chiedeva se sarebbe tornato il suo compagno, il suo grande amore, se, uno di quei giorni avrebbe rivisto il suo viso, avrebbe riascoltato la sua voce, risentito la forza dei suoi abbracci.
Io non sapevo cosa dire e dissi solo che dovevamo sperare, sperare con forza.
L'abbracciai forte, le accarezzai quel viso dolce, bello, pulito, giovane.
Riuscii con difficoltà a non piangere, ributtai le lacrime indietro, anche a me stesso dicevo: dobbiamo sperare…
Poi uscii con ancora le lacrime di Ana sulla maglietta, sulle guance. Era estate ma pioveva quella sera di Luglio a Belgrado; così la pioggia si mescolò alle lacrime di Ana ed io camminavo e non mi riparavo dalla pioggia, essa mi stava aiutando…mescolava le lacrime. 
Cosa potevo fare: nulla.
Quando tornai, scrissi le righe qui sotto, le scrissi per la mia amica/sorellina Ana, forse le scrissi per tutte le Ana, sole e ferite dal dolore. Lei, per anni mi disse che la teneva sempre con sé, addosso, in tasca e quante notti se la leggeva e le dava forza…
Ma forse non avrei mai dovuto scrivere quelle righe. Forse….
Aspettalo, tornerà.
Aspettalo tanto, tanto.
Aspettalo quando le foglie gialle, diffonderanno tristezza.
Aspettalo quando ci sarà la neve e avrai freddo.
Aspettalo quando ci sarà l'afa e ti mancherà il respiro.
Aspettalo quando gli altri non lo aspetteranno più e si dimenticheranno del passato.
Aspettalo anche se non arriveranno sue lettere, perché forse sarà troppo lontano.
Aspettalo insieme a tutti coloro che aspettano, anche se sarà sempre più doloroso aspettare.
Aspettalo, egli tornerà, dopo aver sfidato la morte, le tempeste, i nemici.
…Solo chi non ha mai aspettato, chi non ha la forza di aspettare, non può capire.
Egli tornerà, vincendo le fiamme e gli impedimenti, perché lui sa che tu lo stai aspettando.
E con la forza del tuo amore, sarai stata tu a salvarlo, a farlo tornare…
E saprete solo tu e lui…come sei stata capace ed hai saputo aspettare il tuo uomo… 
E come lui ha lottato contro il destino e ogni avversità, per tornare da te.
…E sarete nuovamente insieme ed uniti…, 
grazie alla forza dell'amore, del vostro splendente e vero amore!

Boro… questa sera sono qui e alzo l'ennesimo bicchiere di Sljiva (..che aiuta a vivere e affrontare questo mondo…), lo alzo al cielo e sorrido malinconicamente, pensando a quel nostro ultimo incontro di Marzo a Belgrado di dieci anni fa….La tua risata fragorosa, i tuoi abbracci forti, le tue pacche vigorose. Parlavi del tuo grande amore e dicevi: …meno male che ancora non abbiamo un figlio, così quando torno sarà la prima cosa che faremo insieme ad Ana, anzi ne faremo due… e ridevi.
Aveva saputo che sarebbe stato richiamato come riservista…e mi dicesti…non vado in guerra, io sono contro le guerre, vado solo a fare il mio dovere per il mio paese e il mio popolo…
E abbracciandomi aggiungesti ridendo: brate ( fratello), anche tu sei un soldato, perché sei qui, "mobilitato" per difendere la giustizia e ridevamo…alla stazione degli autobus di Belgrado…
…Vidimo se kume ( ci vediamo compare) ! Mi dicesti mentre già ero sul bus e nei tuoi, nei nostri occhi e nel cuore c'era la voglia di vivere, c'era la consapevolezza però, che occorre anche un senso 
di dignità nel vivere…..

…..Ana così bella, pulita, semplice…oggi con i tuoi 35 anni che sembrano 70. Quel tuo viso così dolce, oggi così sciupato, usurato; quei tuoi occhi neri così belli e profondi, oggi così gonfi da dieci anni di pianti…Tra le lacrime, quasi con un sorriso velato di sottofondo, mi hai detto …sai Enri, almeno ora potrò venire qui e parlargli, sono fortunata…Peccato che non avevamo fatto un figlio, ora Boro rivivrebbe in lui… 
E le nostre lacrime bagnavano quella maledetta lastra di marmo nera, dove da poche settimane avevi deposto i resti ( poche ossa) del tuo uomo, che ti avevano consegnato, dopo averli ritrovati sotto un mucchio di terra, di un anonimo bosco del Kosovo…dopo dieci anni. 
Mentre fingevo di sorriderti dolcemente, dolce e forte sorella mia, il cuore mi sanguinava, la rabbia ribolliva in me con furore…ti ho abbracciato con forza ma anche lievemente, quasi avessi paura di fare male a quel corpo, quel viso che erano stati così belli ed ora così consunti, consumati e come quella sera di dieci anni fa con il tuo Boro…ho solo detto:… vidimo se sestra ( ci vediamo sorella)…anche se so che forse non ci vedremo più…solo che quella sera di dieci anni fa si rideva, stavolta lacrimiamo…Ciao piccola, grande donna dei Balcani e dentro di me pensavo:… Boro con la vita ha perso anche una donna come te…che maledizione !


…E anche se quel giorno al cimitero, non faceva freddo, andando via mi sono stretto nel giaccone perché il freddo dell'anima mi era arrivato alla pelle, mi sono girato ancora una volta per guardarti, forse l'ultima e con il cemento nei piedi e nel cuore mi sono incamminato… 
e ancora adesso non so verso dove. Avrei voluto girarmi ancora ma non ci sono riuscito e lacrimando ho pensato:…Buona fortuna Ana, la vita, forse un giorno, tornerà anche per te, e Boro sorriderà per questo, e come dice una canzone…un giorno torneremo ancora a cantare, a ridere, a ballare, a far l'amore…un giorno…forse. 
Non resta che continuare ogni giorno ad alzare le vele controvento, tenacemente, caparbiamente, in questi tempi di consumi, di smemoratezze, di superficialità, di desolidarizzazioni imperversanti, di individualismi dilaganti ed egoismi assunti a cultura di massa. Dove il "NOI" è sepolto. 
Chissà se il nostro tenace e ostinato impegno di solidarietà e di lotta per la verità e la giustizia, rivolto a questo popolo serbo aggredito, umiliato, violentato e oggi annichilito, rivolto in particolare verso i bambini, speranza e investimento per un nuovo futuro, possa anche contribuire a far crescere dei piccoli Boro, che in un nuovo tempo rialzeranno lo sguardo e si risolleveranno in piedi fieri, e riprenderanno il loro destino e futuro nelle proprie mani…chissà. 
Uomini semplici, buoni, "normali", dignitosi come il mio amico, fratello, kume Boro; un semplice soldato non di carriera, ma del suo popolo, che avrebbe voluto, come tutta l'umanità semplice e laboriosa, soltanto vivere, amare, lavorare, ridere, in pace…ma con dignità.


…Fosse stata una storia letteraria, avrei voluto finire così: 
…alla stazione degli autobus di Belgrado, Ana a casa ( diceva sempre che a lei non piaceva uscire alla sera, perché lei stava bene nella loro casetta) ed io e Boro che ci beviamo l'ultima Sljiva e tra risate, abbracci e pacche sulle spalle, ci diciamo… 
do viden ja kume, vidimo se! ( arrivederci compare, ci vediamo). 
Ed io sul bus sorridendo li penso abbracciati insieme; tra mille problemi di vita e difficoltà di tutti i giorni, ma innamorati e quando c'è l'amore vero, tutti sono più forti, tutti sono più ricchi…tutti siamo più umani…

Ma questa non è una storia americana, non è finita bene; è una storia vera dei Balcani… 
Non ci sono arrivederci, non ci saranno più pacche e abbracci…restano solo dei resti di un giovane uomo sotto una lastra di marmo nera, una sorella , splendida donna innamorata ma vedova, immense solitudini nell'anima, la sljiva e tante lacrime…perché non ci hanno convinto… 
ma per ora …ci hanno vinto! 
…Ma sii sereno amico, fratello, kume Boro…io sono ancora al mio/nostro posto … 
io sono ancora… "mobilitato" ! 
Enrico Vigna

Skender. Perché?





Alessandro ha riscritto la sua storia.

Qui : com'era nel 2009 e qui com'è adesso

Grande Ale !

martedì 2 luglio 2019

Appello perchè si istituisca una giornata in ricordo del genocidio serbo






Durante la seconda guerra mondiale, con lo Stato Indipendente di Croazia, furono uccise dagli ustascia tra le 330.000 e le 700.000 persone, mentre 250.000 furono espulse e altre 200.000 furono costrette a convertirsi al cattolicesimo

Persecuzione dei serbi durante la seconda guerra mondiale

Una Croazia sul modello fascista

Il gusto dei croati per il fascismo

Jasenovac

Partizani